Una “guerra nella guerra”. Il ponte di Mostar
All’inizio degli anni Novanta in Bosnia Erzegovina vivono circa 4,4 milioni di abitanti di cui il 43,5% bosniaci musulmani (i cosiddetti bosgnacchi), il 31,2% bosniaci serbi ortodossi e il 14,4% bosniaci croati di religione cattolica. Questi tre gruppi, molto differenti fra loro, dal 1992 si scontrano in uno dei più sanguinosi teatri di guerra del conflitto nella ex Jugoslavia. Come già in Slovenia e in Croazia anche in Bosnia Erzegovina tutto ha origine dalla proclamazione d’indipendenza (3 marzo 1992), cui segue l’immediata reazione dell’esercito federale serbo. Punto nevralgico dello scontro è la città di Sarajevo che resta sotto assedio dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996.
I bombardamenti serbi colpiscono anche altre città. Su tutte Mostar, il centro più importante dell’Erzegovina, nel quale si origina quella che la stampa dell’epoca definisce “una guerra nella guerra” che contrappone bosniaci croati cattolici e bosniaci musulmani.
A scatenare le tensioni è il Piano Vance-Owen (da Cyrus Vance e Robert Owen, rispettivamente delegati UE e ONU) che prevede la suddivisione del territorio in dieci regioni autonome: tre serbe, tre croate, tre musulmane, più la provincia di Sarajevo.
Nell’aprile del 1993 il comando militare croato rivendica il controllo di quello che il Piano indica come propria area di pertinenza e in cui è compresa anche Mostar. La città, abitata in maggioranza da musulmani, viene identificata come capitale di un nuovo stato croato-bosniaco (la cosiddetta Erzeg-Bosnia) che dovrà essere “etnicamente pulito”, abitato, cioè, solo da croati.
Nel novembre del 1993 Mostar resta divisa: ad ovest le forze croato-bosniache, ad est i bosgnacchi. A separarli il fiume Neretva. Sei dei sette ponti presenti nell’area urbana sono stati distrutti, l’unico rimasto intatto è lo Stari Most, il “Ponte Vecchio”, costruito nel 1557. Già danneggiato da bombardamenti serbi, resta l’ultimo accesso alla fonte di acqua potabile per gli oltre 55 mila musulmani che abitano in città.
9 novembre 1993
Crolla il ponte di Mostar
La mattina del 9 novembre, dopo due giorni di bombardamenti ininterrotti, le antiche pietre del ponte crollano nel fiume sottostante.
E’ subito chiaro che la sua distruzione non ha utilità militari. L’obiettivo, come riporta la sentenza del Tribunale Penale Internazionale per crimini nella ex Jugoslavia, è quello di “distruggere l’identità culturale attraverso la distruzione materiale e l’avvilimento della popolazione”.
Il crollo viene filmato dal bosniaco Zaim Kajtaz e le immagini trasmesse dai telegiornali di tutto il mondo.
Alla fine della guerra lo Stari Most viene ricostruito con gli stessi materiali e identico disegno dell’originale; inaugurato nel 2004, l’anno dopo entra a far parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO.
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